
Il pane caldo torna “al centro del villaggio”.
Oggi ho visto un vecchio pulmino Fiat 850 bianco, con la striscia rossa obliqua “sul muso” ed il portapacchi in ferro sul tetto.
Era fermo lì, in silenzio ma dentro di me “ha suonato forte”. Mi ha riportato “al mercoledì del villaggio”, vicino ad Accumoli… quando Stefano — del forno — saliva fin sopra le frazioni con il suo clacson riconoscibile, sempre uguale, sempre puntuale… col suo camice bianco lungo, maglia rossa e bustina in tessuto bianco “old style” (o, al massimo, un cappello di quelli “improvvisati”… per non risultare disordinati).
Un suono che non disturbava… ma annunciava.
Era un appuntamento, un rito: col sole, con la pioggia… lui non mancava mai.
Sapeva bene il suo “ruolo” e la sua importanza per la comunità: i suoi chilometri tenevano unite le frazioni, annullavano le distanze. Scandiva perfettamente l’inizio del giorno, chiamava “a raccolta” chi era nell’orto o chi s’era appena svegliato.
Non era solo pane: era sempre la stessa persona che si ricordava di te, che ti veniva in contro.
Stefano non “vendeva”, serviva… capiva. Ricordava chi aveva chiesto più uova, chi non poteva uscire, chi aspettava solo quel momento per vedere qualcuno e sentirsi meno solo… chi chiedeva sempre le solite informazioni sulle feste nei paesi vicini…
Conosceva le mani e le storie delle persone. E quelle persone — spesso anziane, “toste” ma sole — si sentivano viste, sentite, comprese.
Ogni rumore (sento ancora il click del borsellino che si apre),
ogni gesto (delle mani segnate dal tempo che porgono le 10.000 £ di colore blu-violaceo),
ogni parola, ogni consegna (riesco a distinguere il rumore del coltello che taglia il cartone delle uova)… era empatia, un ritmo familiare.
E oggi, nel tempo della fretta e dell’algoritmo, ripensare a lui mi ha fatto bene.
Perché è proprio da lì che tutto, ora, mi chiede di convergere: verso un modo più umano di essere (professionisti, consulenti, coach, comunicatori) e di ascoltare.
Perché CONVERGERE significa:
- niente è stato sprecato, nessuna deviazione è stata inutile, nessuna competenza mi è estranea;
- diventare un solo gesto (dalle mille sfumature);
- trasformare la molteplicità in presenza unificata;
- accogliere tutto (l'arte, il mestiere, il dolore, il talento, le tue radici, “la terra che trema”, il ricordo, il corpo, il silenzio, il dialetto, la rabbia, la cura, il fallimento… la paura);
- “prendere fuoco nella complessità”... ed è un fuoco “buono”, il punto di fusione in cui tutto il sapere si scioglie e diventa energia (trasformativa);
- unire mente, cuore, visione e gesto;
- essere semplicemente irripetibile (non qualcosa di più);
- costruire il tuo linguaggio nuovo, intimo…personale.
Quando tutto converge, nasce una lingua “solo tua”.
Un linguaggio fatto di metafore visive, immagini forti e intense, narrazioni profonde, riti di ascolto, estetica umanistica, impatto reale e sociale… di dialetti.
E quella lingua non ha più bisogno di essere spiegata perché ormai la senti e la vivi.
Chi ti incontra la riconosce, anche senza capirla del tutto… perché ne sente le vibrazioni.
Tutto ciò che sei, ora ti chiede di non essere più separato.
Tutto ciò che hai imparato, ora vuole diventare strumento.
Tutto ciò che ti ha attraversato, ora vuole diventare linguaggio.
Tutto ciò che hai servito, ora vuole servire attraverso di te.
Non c'è più tempo per “essere a metà”.
Non c'è più bisogno di dividere.
È l’ora della convergenza.
È l’ora dell’opera.
Perché CONVERGERE significa soprattutto VEDERE DAVVERO L’ALTRA PERSONA: è ciò che tiene insieme tutta la tua opera.
- Coaching
- Copywriting
- Identity design
- Narrazione
- Fotografia
- Packaging
- Arte e comunicazione
- Strategia
- Ikigai
- Linguaggio del territorio
- Storia personale e collettiva
In un contesto così competitivo e veloce, l’unico modo per interpretare la complessità è proprio far convergere le proprie abilità in un unico approccio integrato… capace di “accogliere l’altra persona nella sua interezza (e complessità, ovviamente).
E questa capacità è il cuore pulsante, il filo rosso che tiene tutto insieme.
Perché senza questo “sguardo vero”, tutto il resto è tecnica: funziona ma non trasforma.
Quando “vedi davvero”,
• non proietti ma rifletti;
• non imposti ma risuoni;
• non costruisci “per” ma insieme.
È in questo “sguardo” che nasce la possibilità del cambiamento, la fiducia, il desiderio di evolvere. È così che una consulenza diventa alleanza, un progetto diventa storia, una strategia diventa umana.
Dalla piazzetta di paese alla strada di campagna.
Il mercoledì alle 08:30 con i suoi volti e quell’urgenza del pane, quella vitalità che solo il contatto vero riesce a darti.
Io quegli sguardi li ricordo bene… e li “faccio miei” ogni giorno…
Perché c’è chi porta il pane e chi porta idee, visioni, parole… cambiamento.
Ma la vera domanda è: come le porti?
E soprattutto: perché?