
Siamo connettori naturali, insaziabili curiosi… portatori sani di storie.
C’è una cosa che voglio dirti subito: qui non troverai scorciatoie, trucchi, metodi universali. Non è il mio mestiere e, se ci pensi, non serve nemmeno a te.
Io credo nelle storie.
Perché le storie non ti dicono cosa fare: ti parlano, ti entrano dentro e ti costringono a guardarti nello specchio. Le storie non le copi: ti abitano, ti colpiscono, ti contaminano, ti fanno nascere quella domanda in più che, se la tieni stretta, diventa la tua chiave.
Sai cosa ho capito in questi anni?
Che io non sono mai stato “fuori” dalle esperienze che ho vissuto: non sono state una parentesi od un lavoro e basta… mi hanno plasmato, schiacciato, esaltato, tradito e ricostruito.
Ho trovato “il mio perché” dietro una “postazione insonorizzata”, munito di cuffie e microfono: dovevo “solo vendere seguendo uno script” e, invece, ogni chiamata mi ha restituito parte di un Paese fatto di persone in difficoltà, stanche, diffidenti… “che ti ascoltano se tu li ascolti”; e poi, i dialetti, gli intercalari che si susseguivano in base agli orari di chiamata… istantanee di vita che non avevano nulla a che fare con lo script o con la “formazione” ricevuta.
“Signora, se investono qualcuno sulle strisce pedonali, non è detto che lei non deve più uscire di casa e attraversare una strada sulle strisce pedonali! Deve semplicemente prestare più attenzione nell’attraversare (anche sulle strisce)”.
Ricordo di aver risposto così ad una persona contattata, che non si fidava di quello che le stavo dicendo… memore di pessime esperienze precedenti con altri consulenti telefonici.
Questa mia gestione dell’obiezione, in quel momento, fece breccia totale non tanto nella Signora al telefono, quanto nei colleghi che mi ascoltavano (il mio tono di voce andava oltre le pareti insonorizzate!) e nel “supervisore di sala /di campagna”.
E fu la mia “salvezza”: sempre più spesso, usavo i miei “slang” in stile pubblicitario, vivevo le telefonate quasi come uno spot radiofonico… e sempre più spesso mi chiamavano per la revisione degli script, poi nelle formazioni poi… “uscii dalla cuffia per stare in sala”. E ricordo perfettamente quello che pensai: “adesso posso veramente condividere il cambiamento”: potevo intervenire in ogni “telefonata”, operatore per operatore… potevo affinare il lessico, migliorare la sensibilità in ascolto… potevo far capire all’operatore quanto fosse importante il quotidiano della persona chiamata.
In quella sala c’erano operatori che, da lì a qualche tempo, avrebbero trovato la loro strada diventando medici, imprenditori, formatori, dipendenti “in pianta stabile” ma anche attori di teatro, liberi professionisti o “nomadi in cerca di fortuna”.
Lasciai quella sala consapevole di aver dato “qualcosa di me” in ognuno di loro.
Anche per questo dico sempre che, alla comunicazione, al design pubblicitario, al marketing… devo tutto.
Pur sapendo che non mi hanno risparmiato niente: hanno preteso il massimo, fino al midollo. Sono entrati nella mia vita “a gamba tesa”, senza chiedere permesso: si sono travestiti da sogni, buoni propositi, vizi, curiosità, regali, libri... hanno assunto forme e linguaggi perfettamente in linea con me, con la mia quotidianità.
Mi sembra ieri che, lavorando presso uno Studio Commercialista, tra un bilancio, una “riconciliazione bancaria” ed una prima nota… capii che non era per me”.
Da buon “ragioniere programmatore con indirizzo IGEA” era il mio pane quotidiano, era tutta roba che mi riusciva abbastanza bene, con tutte le difficoltà che potevo incontrare (ovviamente, nessuno nasce imparato e… devo ammetterlo, non finivo mai di comprendere nuove dinamiche).
Ma dei numeri non mi è mai interessato il risultato ma… la natura, il processo. Anche qui, “il perché 2+2 fa sempre 4”. E mi piaceva “stare a contatto con le persone”: visitare i Clienti per il ritiro delle fatture, scontrini, spese, prima nota e risolvere il “famigerato” contenzioso tributario con l’Agenzia delle Entrate!
Controlla, verifica, studia… “trova il modo” per avere lo stralcio della cartella, l’annullamento o la revisione totale. “Trova il modo di tutelare il tuo Cliente”.
Oggi capisco perché continuo a scrivere le parole “Imprese” e “Clienti” con l’iniziale maiuscola: perché li considero “nomi propri di persona”, perché dietro la parola IMPRESA e CLIENTE c’è sempre (almeno) UNA PERSONA, la stessa che visitavo per il ritiro dei documenti o che rappresentavo durante un contenzioso.
Rapporto con le persone, scadenze, numeri… per poi approfondire, grazie alla mia mentore e ad alcuni colleghi di Studio, alcune procedure aziendali, alcune forme societarie… E poi, le serate passate a Studio tra “pizza e bilanci” e dare una nuova veste (ed un nuovo senso) alla “notte di San Silvestro”… e quella maledetta domanda (con risposta annessa) che mi restava in testa “possiamo fare le cose in modo diverso: perché non provarci? Perché non farlo? Perché abbiamo sempre fatto così”.
Vedevo le cose cambiare intorno a me e ne capivo il senso.
Ma non mi bastava: volevo esserne parte attiva!
E in questa lotta, in questa danza continua tra desiderio e fatica, ho capito quando possiamo parlare di cambiamento:
- quando si è consapevoli.
- quando è duraturo.
- quando è dirompente.
- quando “traccia la via”.
Io ero già cambiato… finalmente ed in modo irreversibile. Ma non lo sapevo… o meglio, dovevo ancora “prendere forma”. Capisci bene il momento di difficoltà: quando sai che puoi fare tanto, che quello che hai in testa può funzionare ma… ancora non sai chi sei! Quando sgomiti, vuoi farti largo ma “annaspi”… e sono “dolori” (fisici e mentali).
“Ho dovuto perdere tutto per "guadagnare" tutto…”
Dovevo capire cosa c’era dietro “il segno grafico”, la scrittura degli spot radiofonici. Dovevo comprenderne le dinamiche, le sfumature… le declinazioni, il lessico (non solo tecnico). E poi la calligrafia e “come farsi leggere”.
Le mail erano ancora un must. Le App Mobile erano l’innovazione e montavamo ancora i coordinati televisivi con Combustion e su Piattaforma Targa3000.
Lavoravo (e studiavo) anche di notte, di sabato e di domenica per mandare i sottopancia per le interviste e le griglie di partenza, a Londra, per i mondiali SBK… Alcuni hanno provato a minare il mio cammino… mi deridevano perché facevo tutto questo “a rimborso spese” oppure perché “osservavo” orari assurdi (del tutto spontanei e frutto di una mia personalissima disciplina)… “Che fai: vai sa sfornare il pane?” mi dicevano, vedendomi “in giro” alle 4 del mattino!
Dormivo davanti alla “stazione di montaggio”, su un divano (improbabile ed improvvisato), aspettando che finisse il rendering delle scene per poi procedere con l’invio del materiale al Cliente.
Ancora mi emoziona il ricordo...
Ti scrivo questo perché so che, in fondo, anche tu sei così. Anche tu hai vissuto momenti in cui le esperienze ti hanno preso per mano (o per la gola) senza darti scelta. E ogni volta, da quell’urto, ne sei uscito/a diverso/a… cambiata.
Ecco perché credo che tu ed io siamo “connettori naturali”. Non ci accontentiamo di vivere le cose: vogliamo capirle, sentirle, raccontarle. Perché in ogni gesto, parola o sguardo… c’è sempre un significato nascosto da liberare.
Quello che condivido con te, oggi e domani, non sono manuali o ricette ma storie: le mie (certamente) ma anche le tue, di chi abbiamo intorno, di chi incontro…storie che ci somigliano o che ci spiazzano.
Dentro queste storie tu puoi estrapolare SIGNIFICATO, SENSO, SCOPO e SENTIMENTO: puoi farli tuoi, piegarli alla tua vita, trasformarli in strumenti concreti per la tua esperienza quotidiana.
Io non ho verità da imporre. E non le voglio avere! Ho solo parole ed esperienze da offrirti. E se anche solo una di queste parole riuscirà ad aprire un varco dentro di te, allora avrò fatto la mia parte: servire, non emergere.
Perché, vedi, anche io come te… ho fatto 2+ lavori, ho avuto attacchi di panico, momenti di difficoltà importanti, scelte difficili da prendere… momenti duri da affrontare (ancora oggi).
Cerco ogni giorno di dare un nome alle cose, di restituire senso ai frammenti, di non buttare via ciò che mi attraversa.
E ogni volta che trovo un filo, lo “prendo per il capo”: per me e, se vuoi, anche per te.
Non ti darò mai un “come si fa”.
Ti regalerò sempre un “perché ne vale la pena”.
Ed è da lì che inizia tutto.
